Queste suggestioni così distanti si sono incredibilmente associate, fino a fondersi in un progetto di arazzi in lana e cotone in cui alcune iconografie e tecniche tessili della tradizione sarda convivono con una narrazione che racconta sia gli aspetti irrisolti e nocivi del nostro mondo sia un’insospettata armonia tutta al femminile. Un percorso che a partire da un passato ancestrale, caratterizzato da una potenza femminile creatrice di cultura, delinea le tossicità diffuse nel mondo dall’egemonia patriarcale e neoliberista e infine guarda a un presente-futuro prossimo di liberazione.
Viene utilizzata la lavorazione a pibiones, con il ricamo in rilievo su una trama che funge da sfondo, puntinata in bianco e nero. Il rimando è ai televisori analogici quando, seppur accesi, non ricevevano alcun segnale (rumore bianco), riferimento fondamentale poiché la sua storia di artista è partita da lì, negli anni Ottanta, con la scelta del video analogico amatoriale e delle immagini imperfette e liquide della bassa definizione, sia per documentare situazioni trovate per strada, sia come lavoro di sperimentazione e analisi linguistica che costringeva a riflettere criticamente sul significato e sull’attendibilità delle immagini.